STEFANO ClAPONI La stanza delle apparizioni
È possibile che la grande stanza che ritorna in tutte le stupefacenti immagini dipinte da Stefano Ciaponi, e che per me è il luogo poetico dell'annunciazione e delle apparizioni, esista davvero in qualche luogo di Livorno. Grande stanza chiusa o che apre finestre e porte sulla strana luce dell'esterno. Grande stanza dove Stefano Ciaponi mangia, dorme, soffre anche la fatica del pittore e che soltanto i pittori sanno, sogna, immagina, aspetta che gli salgano dalle pieghe più profonde e segrete dell'io le creature fantasmatiche che entrano nei suoi quadri. Se esiste nella realtà questa grande stanza di tutti, o quasi tutti i giorni, essa ha subito una straordinaria metamorfosi pittorica. Il mio convincimento è che questa grande stanza sia uno spazio costruito dall'immaginazione di Stefano Ciaponi: insisto, il suo luogo dell'annunciazione e delle apparizioni.
Perché lo sguardo del pittore nasce da un occhio singolare che guarda la realtà esistenziale e sociale, ma soprattutto affonda e getta scandagli, attratto dalle stesse voragini che lo spaventano, dentro di sé. I colori splendidi della grande stanza: verde, rosso, blue hanno una luminosità radiante assai innaturale quasi che all'occhio nostro si svelasse un mondo sotterraneo, lo spazio segreto e per la prima volta violato d'una catacomba figurata che era chiusa e ignota, se non colpevolmente dimenticata, da secoli. Insomma, Stefano Ciaponi è una specie poetica tutta nuova in Toscana e in Italia. Non è l'ultimo, orrido figurativo, citazionista e nuovo manierista, nel gregge che mangiando l'erba di tutti i musei ha fatto della pittura un deserto di immagini false. E non è nemmeno un transavanguardista d'accatto che, pur succhiando molte mammelle, giuochi a fare il selvaggio trasmigrando dall'etàpostindustriale all'età tecnologica. È un pittore amoroso e inquieto, allarmato e con un tremendo attrito con il presente suo, nostro, di tutti. Ma non prova a filar via per la tangente degli stilemi del gusto o della maniera. Questo nostro presente che dà panico lo affascina. Sente che poco più in là di dove mettiamo il piede c'è una sterminata voragine. E vuoi capire di che si tratta; vuoi scandagliare, portare all'evidenza visiva e rendere "tattili" gli sterminati sotterranei dell'io profondo. E lo scandaglio lo fa con bel metodo, quadro dopo quadro portando alla luce sempre nuovi spazi segreti dell'io. Non conosco altro pittore della sua generazione che come lui sia capace poeticamente di illuminare e attivare il presente con le memorie più sottili e profonde che un po' tutti lasciamo scivolare e fare strato come in un fondo oceanico. E non ne vogliamo più sapere: se, per un caso o una provocazione o magari nel sogno, qualcosa riaffiora diamo un grido, ci guardiamo intorno spauriti come se gli altri avessero capito, e ricacciamo la memoria nel
fondo oceanico. Di fronte a questi spazi meravigliosi e inquietanti, verdi, rossi blue e grigi (quando appare un esterno naturale o urbano), m'è venuto in mente - ancora la memoria! - quel passo finale del racconto di "Ebdomeros" di Giorgio de Chirico, che nel 1929 viene a chiudere con un mistero della realtà la già tanto enigmatica metafisica degli anni dieci e venti: là dove Ebdomeros, che ha portato i suoi compagni in riva a un lago, indica un po' lontano dal porticciuolo una zona d'acqua dove galleggia una boa vermiglione e dice che sta a indicare il punto di una profondità che mai nessuno è riuscito a scandagliare. E qui, Ebdomeros / de Chirico ha lasciato l'arte e la cultura contemporanea nel 1929. Dopo di lui s'è creato il turismo pit
torico e di mercato; si va e si viene; intorno a quella boa che ancora galleggia girano un po' tutti senza nemmeno più domandarsi che cosa ci faccia lì
e cosa stia a segnalare. Ecco, allora, la novità e il fascino grandissimo di un pittore che ha la passione, il pensiero dominante e il metodo dello scandaglio. Se Stefano Ciaponi porta alla luce diamanti e scorie, comunque sempre qualcosa di germi naie e di primordiale, non è culturalmente e tecnicamente un pittore primordiale; bensì di cultura e di tecnica raffinate e ricche. E, a proposito di questa cultura, che cresce e foresta da semi schiettamente esistenziali, mi sembra giusto qui ricordare l'esempio grandeggiante di Alberto Giacometti con le sue gracili figure corrose dall'attrito col mondo e che pure continuano ad azzardare un passo dopo l'altro; ed è tale l'energia necessaria per tale passo che ogni minima distanza spaziale colmata sembra l'immensità d'un deserto, d'un cosmo. E, a proposito del modo tanto poetico e straziante di intendere il rapporto tra l'immensità dello spazio e la minuta e gracile figura umana che è tipico di Stefano Ciaponi, vorrei aggiungere che Giacometti racconta che, un giorno, mentre tentava un ritratto, cominciò a fissarsi sullo spazio del volto che sta alla radice del naso tra le due sopracciglia; finché tale spazio cominciò a dilatarsi e divenne sterminato: Giacometti dette un grido con la sensazione atroce di trovarsi solo in mezzo al Sahara. E vorrei ricordare che proprio da Livorno, con il pittore Gianfranco Ferroni, presto seguito da Giuseppe Banchieri, prese le mosse la più genuina pittura (e incisione - disegno - grafìsmo) esistenziale italiana, negli anni sessanta, poi migrata a Milano. Gli interni dello studio con il caos degli oggetti di lavoro; il giardino e il lago di Massaciuccoli con l'ombra della madre e un misterioso annegato; furono immagini forti incise, disegnate e dipinte da Gianfranco Ferroni che costituiscono un antecedente esistenziale per Stefano Ciaponi. E non è un caso che, se si cerca una relazione possibile del nostro giovane livornese con la pittura della realtà che oggi si fa, la si trova, magari debolissima, con i piccoli quadri che dipinge il toscano di Milano Banchieri figurando finestre di un interno che danno su giardini spettrali, giardini d'una memoria che cresce dagli anni sessanta con colori di cenere.
Ho fatto questi riferimenti possibili non per omogeneizzare la ricerca esistenziale di Stefano Ciaponi a quelle di altri; bensì per meglio evidenziarne
la tipicità. Il nostro pittore ha il pensiero dominante dello spazio vuoto e dell'assenza umana. Le sue figurine umane, i suoi animalucci, i suoi oggetti entrano nello spazio in un modo quasi magico, un po' come entra in scena, sul tempo musicale esatto, non una nota prima non una nota dopo, un ballerino. Immagina lunghe e sottili scale; e poi esili scaffalature; quinte e piani di scena quasi teatrale. Ecco, poi, le apparizioni: ora sì ora no, un bambino solitario dai capelli biondi che aspetta o giuoca con una palla e sembra star lì da chissà quanti anni; degli animalucci sospesi a varia altezza; delle figurine femminili e maschili che sembrano calare dall'alto appesi a fili come burattini o come vestiti appesi a stampelle. Vengono alla luce da profondità molto buie con guizzi di colori luminescenti e sono di una gracilità incredibile: tale che sembrano sempre sul punto di sparire così come sono comparsi. A volte lo spazio è invaso da una vegetazione trattata a schegge e filamenti di colore, come formicolante; ma è una vegetazione più evocata che reale. lo credo fermamente che forme e colori fioriscano nella stanza per costruire l'immagine dell'annunciazione della solitudine e del desiderio di amore risalendo da grandi profondità spazio/temporali. Forse, è il fanciullo che fa da lievito reale/surreale nelle bellissime e melanconiche immagini di un sogno di mondo che così originalmente costruisce, sul panico del vuoto spazio, Stefano Ciaponi. Ma non diceva, il poeta Paul Eluard, che Max Ernst era un vecchio fatto di molti fanciulli? Ci vuole un occhio molto puro, molto
bambino per manifestare stupefazione all'apparizione delle minime cose del mondo e, se non ci sono, per richiamarle al duro presente da lontananze abissali e surreali (non perché di derivazione surrealista ma perché l'abitudine alla vita non ci fa più vedere la vita stessa).
Negli anni venti, Giorgio de Chirico, presentando una mostra di nature morte di Giorgio Morandi, scrisse una cosa vera e bellissima: che Morandi aveva restituito stupore alle cose ordinarie. Credo che Stefano Ciaponi abbia questa capacità poetica di restituire stupore per le cose della vita che ai più sembrano ordinarie. Calano dall'alto, come mossi da un misterioso deus ex machina, i suoi fanciullini che non hanno mai veramente vissuto e non hanno mai varcato veramente liberi quella porta sullo spazio di luce che li aspetta come una tagliola. Stanno nello spazio/armadio come vestiti appesi o come animalucci impagliati. Stanno così le cose della vita? Il pittore dice di sì e assieme a una grande stupefazione ci restituisce, e sembra dolere come una ferita non rimarginata, un ostinato desiderio di liberazione proprio in forza di quel bambino che è ancor ben vivo e attivo e attivante nella sua immaginazione pittorica.
Oario Micacchi -1988
STEFANO CIAPONI Le stanze delle immaginazioni
Sono ormai più di due lustri che rivolgo la mia attenzio-ne all'opera di Ciaponi. Da allora l'artista è rimasto fedele all'ordine del "vero inventato" nel senso che il suo mondo resta sempre diviso in frammenti naturali e metafisici, da decifrare in libertà, in cui l'innocenza e la buona volontà, che dovrebbero dominarlo, andando ad urtare con i suoi opposti, danno vita ad una pittura di carattere esistenziale che mette in primo piano fragili figure di adolescenti.
E' cambiato invece il repertorio dei temi, dei motivi, delle "invenzioni" e, in modo particolare, è mutata l'esecuzione tecnica: sono spariti i gocciolamenti iniziali e sono aumentati i bei segni e le "incrostazioni" che danno al dipinto apparenza di affresco.
Quello che non ha tradito o ricusato è il suo modo di intendere la vita, la sua umanità e il suo carattere d'innocenza, insomma il suo volto più vero.
Ciaponi sembra non essere interessato al mondo dei grandi. Solo in un quadro - fra i tanti che ho visto - ha dipinto un essere umano adulto che oggi si trova a Lucca nella collezione Dé Robertis. Non gli ho mai domandato il perché, ma se l'avessi fatto, penso che mi avrebbe risposto come Gesù: "Lasciate che i fanciulli vengano a me".
Basta dare un'occhiata alla sua opera per rendersi conto che è roso da nostalgia per l'adolescenza. Si avverte che a quarant'anni, cioè nell'età che è della ragione, ha ancora l'animo del fanciullo che fù; educato non con il sistema pedagogico di Makarenco, ma con quello della Montessori che, a differenza del pedagogo russo, voleva il rispetto assoluto delle scelte del bambino, sino al punto di correggersi da solo, dopo (s'intende) aver disposto il materiale didattico in modo tale che gli avrebbe consentito di farlo.
La sua poetica è fatta da una malinconica liturgia per il tempo in cui Collodi scriveva Le avventure di Pinocchio, dove insieme all'intento educativo c'è posto anche per le libere scelte del burattino, ancorché sbagliate.
Ciò non vuoi dire che agisca con la testa voltata all'indietro, che non riesca
a capire la realtà del tempo presente. Credo, al contrario, che sia proprio perché la conosce così bene questa realtà che, in certi momenti e per certi versi, sente il bisogno di esorcizzarla e sfuggirla per inseguire avventure che leggeva e sognava da ragazzo, come ad esempio quelle di Salgari così affascinanti, suggestive e evocati ve, anche se da un punto di vista formale più inge
nue e povere di quelle di Collodi, di Stevenson o quelle del David Copperfield di Dickens. Infatti se la sua pittura fosse narrativa sarebbe uno di questi scrittori o, meglio, sarebbe tutti e quattro insieme.
In Ciaponi sembra prevalga il desiderio di non volere crescere, così come Oskar de 11 tamburo di latta di Gunter Grass. Forse ha ragione lui. Forse è vero che nell'infanzia c'è tutto e che il resto della vita si può passare a scavarci dentro. Forse è vero che "Nel momento stesso che si cessa di essere fanciulli si è bell'è morti", come diceva Costantino Brancusi in un suo aforisma. O, più semplicemente, forse è vero che è un modo come un altro per salvarsi dal tempo e allontanare la morte. Ma, sia come sia, credo che Ciaponi voglia rimanere per molto tempo ancora il ragazzo ludens convinto che questo tipo di ragazzo sia più vicino alla totalità e realtà dell'essere umano di quanto non lo siano l'homo sapiens o l'homo faber. Intendiamoci: il suo dipingere non è amore per il puro gioco, in chiave di compiacimento decadente. Anzi. \I gioco - che non è fatto solo di burle e facezie - spesso e volentieri non viene considerato con la serietà che gli è dovuta. Si lamentavano di ciò addirittura antropologi come Caillois e storici come Huizinga.
Tutto il mondo dei piccoli personaggi di Ciaponi è attraversato da un'indefinito senso di sottile inquietudine esistenziale che è proprio degli adolescenti nell'età di passaggio. Detto questo però, Ciaponi non pensa nemmeno lontanamente di fare qualcosa che vada al di là del piacere di affabulare, senza moralismi di sorta e meno che meno di intenti allusivi. Forse solo il cavolo, che si vede in una serie di suoi dipinti, ha valore di simbolo, nel senso di far capire che tra le foglie non si nasconde nessun pargoletto. O forse anche qui
non c'è nessuna recondita allusione e che sia assunto dall'artista solo perché si tratta di una pianta erbacea di una forma che ben si presta al fare pittura. Così come le tazze sospese per aria non credo vogliano rappresentare una sfida alle teorie di Newton.
Ed ecco che a questo punto - come sempre succede - mi si chiederà: ma Ciaponi da chi discende? E' una domanda che non dovrebbe essere fatta perché ognuno di noi, anche per le cose dell'arte, dovrebbe ragionare con la propria testa, ma siccome si vuole assegnare per forza un padre putativo o un patrono ad ogni artista come se San Luca non bastasse per tutti, ecco la mia opinione: di primo acchito, e con apparente ragionevolezza, qualcuno potrebbe pensare a Balthus per via delle sue "fanciulle in fiore", ma chi ha occhi per vedere al di là delle apparenze, si renderà subito conto che le fanciulle dei due vivono in ambienti diversi, e che, tra loro, ci sono anche differenze di pensieri e di sentimenti. \I grande artista francese pone le sue lolite in ambien-ti dove reminiscenze classiche si mescolano con elementi surrealisti. E poi, a queste ninfette (cresciute troppo in fretta tra turbamenti sessuali) fa assumere posizioni e espressioni maliziose e concupiscenti, ricche di allusioni e insinuazioni. AI contrario nella pittura di Ciaponi domina un pudore antico e tutto avviene nel chiuso di stanze disadorne, circondato da una atmosfera di solenne solitudine dove tutto sembra corroso, compresi gli animali vivi e imbalsamati. E' il vuoto dell'esistenzialismo sartriano che diventa in Ciaponi la stanza dove rinserare le sue fanciulle amorose e gli altri suoi giovanissimi personaggi, per proteggerli - verrebbe da dire - da edonismo e consumismo, i due demoni della modernità capaci di destrutturare la
a capire la realtà del tempo presente. Credo, al contrario, che sia proprio perché la conosce così bene questa realtà che, in certi momenti e per certi versi, sente il bisogno di esorcizzarla e sfuggirla per inseguire avventure che leggeva e sognava da ragazzo, come ad esempio quelle di Salgari così affascinanti, suggestive e evocative, anche se da un punto di vista formale più inge
nue e povere di quelle di Collodi, di Stevenson o quelle del David Copperfield di Dickens. Infatti se la sua pittura fosse narrativa sarebbe uno di questi scrittori o, meglio, sarebbe tutti e quattro insieme.
In Ciaponi sembra prevalga il desiderio di non volere crescere, così come Oskar de /I tamburo di latta di Gunter Grass. Forse ha ragione lui. Forse è vero che nell'infanzia c'è tutto e che il resto della vita si può passare a scavarci dentro. Forse è vero che "Nel momento stesso che si cessa di essere fanciulli si è bell'è morti", come diceva Costanti no Brancusi in un suo aforisma. O, più semplicemente, forse è vero che è un modo come un altro per salvarsi dal tempo e allontanare la morte. Ma, sia come sia, credo che Ciaponi voglia rimanere per molto tempo ancora il ragazzo ludens convinto che questo tipo di ragazzo sia più vicino alla totalità e realtà dell'essere umano di quanto non lo siano l'homo sapiens o l'homo faber. Intendiamoci: il suo dipingere non è amore per il puro gioco, in chiave di compiacimento decadente. Anzi. Il gioco - che non è fatto solo di burle e facezie - spesso e volentieri non viene considerato con la serietà che gli è dovuta. Si lamentavano di ciò addirittura antropologi come Caillois e storici come Huizinga.
Tutto il mondo dei piccoli personaggi di Ciaponi è attraversato da un'indefinito senso di sottile inquietudine esistenziale che è proprio degli adolescenti nell'età di passaggio. Detto questo però, Ciaponi non pensa nemmeno lontanamente di fare qualcosa che vada al di là del piacere di affabulare, senza moralismi di sorta e meno che meno di intenti allusivi. Forse solo il cavolo, che si vede in una serie di suoi dipinti, ha valore di simbolo, nel senso di far capire che tra le foglie non si nasconde nessun pargoletto. O forse anche qui
non c'è nessuna recondita allusione e che sia assunto dall'artista solo perché si tratta di una pianta erbacea di una forma che ben si presta al fare pittura. Così come le tazze sospese per aria non credo vogliano rappresentare una sfida alle teorie di Newton.
Ed ecco che a questo punto - come sempre succede - mi si chiederà: ma Ciaponi da chi discende? E' una domanda che non dovrebbe essere fatta perché ognuno di noi, anche per le cose dell'arte, dovrebbe ragionare con la propria testa, ma siccome si vuole assegnare per forza un padre putativo o un patrono ad ogni artista come se San Luca non bastasse per tutti, ecco la mia opinione: di primo acchito, e con apparente ragionevolezza, qualcuno potrebbe pensare a Balthus per via delle sue "fanciulle in fiore", ma chi ha occhi per vedere al di là delle apparenze, si renderà subito conto che le fanciulle dei due vivono in ambienti diversi, e che, tra loro, ci sono anche differenze di pensieri e di sentimenti. Il grande artista francese pone le sue lolite in ambien-ti dove reminiscenze classiche si mescolano con elementi surrealisti. E poi, a queste ninfette (cresciute troppo in fretta tra turbamenti sessuali) fa assumere posizioni e espressioni maliziose e concupiscenti, ricche di allusioni e insinuazioni. AI contrario nella pittura di Ciaponi domina un pudore antico e tutto avviene nel chiuso di stanze disadorne, circondato da una atmosfera di solenne solitudine dove tutto sembra corroso, compresi gli animali vivi e imbalsamati. E' il vuoto dell'esistenzialismo sartriano che diventa in Ciaponi la stanza dove rinserare le sue fanciulle amorose e gli altri suoi giovanissimi personaggi, per proteggerli - verrebbe da dire - da edonismo e consumismo, i due demoni della modernità capaci di destrutturare la
personalità degli adolescenti. Ma l'esemplificazione del nostro ragionamento direi che potrebbe stare in questi due versi:
"bianca neve scender senza venti"
"come di neve in alpe senza vento".
Il primo è di Cavalcanti e il secondo di Dante. "( due versi" - dice Calvino in una delle sue "Lezioni americane" (quella sulla leggerezza) "sono quasi identici, eppure espri-mono due concezioni completamente diverse". Poi spiega dove sta la diversità, ma qui lascio a voi, se ne avrete voglia, di leggere per intero il pensiero del grande, fantastico scrittore.
Per il nostro parlerei invece di una vicinanza a Giacometti che è l'artista, a parer mio, che ha influito su Ciaponi con esempi di metodo. Infatti, come quella di Giacometti, l'opera di Ciaponi è un brulichìo di segni, fino a scavare ogni pieno e vuoto. Quei segni, per intenderci, che hanno fatto parl are di Ciaponi come di un maestro dell'incisione all'acquaforte.
Insomma, sebbene tutti i quadri siano fatti di altri quadri, ogni pittore è differente a tutti gli altri. Tra di loro possono trovarsi somiglianze, ma non di più. E' un po' come le foglie sugli alberi o le conchiglie portate dalle onde sulla battigia tutte simili e tutte diverse. Non vorrei essere frainteso: non ho voluto fare paragoni di sorta. Ho parlato solo di ascendenze. Balthus è l'artista che piluccando ogni grappolo, ha compiuto un recupero storico: da Carpaccio a Degas, da Deran a Piero della Francesca e molti altri ancora. E' il grande artista che ha preso per restituire: ha preso dai grandi capolavori e ci ha reso grandi capolavori.
Giacometti, anche lui, ha fatto delle opere d'après (da Cézanne a Rembrandt tanto per dirne due) ma non è famoso per questo. Sono la monocromia e il segno le peculiarità della sua arte. Ed è famoso perché, come Sartre in filosofia, ha rappresentato (in disegno, pittura e scultura) l'angoscia, la solitudine e l'alienazione dell'uomo moderno.
. Ho azzardato a citare due tra i più significativi artisti di questo secolo perché conosco con quanta umiltà Ciaponi si pone davanti alla grande pittura di tutti i tempi.
Ciaponi è un uomo schivo e quindi sta lontano le mille miglia dalla prosopopea professorale, anche se ha insegnato nelle Accademie di Belle Arti di mezza Italia (oggi in quella di Carrara). Non muove un dito per promuovere se stesso. Non è il tipo che infiocchetta i suoi quadri. Se non gli stessi io alle costole dipingerebbe su tutto quello che gli capita tra le mani e poi lo appenderebbe alle pareti delle gallerie senza cornice. Tutto ciò in ossequio alla sua idea secondo la quale è meglio lavorare che stare lì a perdere tempo per fare tutti i giorni i conti con il mercato. Parafrasando Wislawa Szymborska, la poetessa polacca, si potrebbe dire: "Lo chiamano artista e a volte maestro/ Ma lui non chiama se stesso né artista né maestro/ Fa a meno dei nomi « aristocratici "/Si chiama artigiano"...
Omero Biagioni -1999
STEFANO ClAPONI Fuga nei giardini dell'immaginazione
Se dovessimo definire secondo le formule correnti il tipo di espressione artistica praticato da Stefano Ciaponi, potremmo parlare di surrealismo, o meglio di arte fantastica. Tanto più che l'artista medesimo intitola la serie di opere più ampiamente trattate nella sua ultima produzione "fuga nei giardini dell'immaginario". Ma è particolarmente interessante, e originale, il suo
modo di interpretare questo soggetto, cioè l'andamento della sua immaginazione: che non appare come un sistema per fuggire dalla realtà, o superarla, o trasfigurarla, bensì un'indagine sui significati misteriosi che vi si celano. Ciaponi ambienta per lo più le scene entro spazi casalinghi delimitati, in stanze pressoché vuote, abitante da persone per lo più giovani, quelle appunto che esercitano nell'ambiente la loro fantasia; e la fantasia immette nelle stanze oggetti ed esseri viventi diversi, ma spesso ripetuti: insieme con semplici arredi casalinghi si allineano piccoli strumenti di gioco, specie costruzioni lignee, fiori veri e finti, e alcuni animali, tra cui l'amatissimo elefantino. Tutto questo in una successione e un inquadramento compositivo che, se da una parte ci induce a immetterci in ambienti di vita quotidiana, quindi ci porta dentro il luogo raffigurato, dall'altra ci appare come un palcoscenico, con effetti di profondità prospettica: dunque pone un limite invalicabile tra noi spettatori e l'azione, com'è della rappresentazione teatrale, che se pure è situata a un passo da noi, resta psicologicamente invalicabile. A ciò si aggiunga che lo stile di Ciaponi si ispira a figurativo semplice e schematico, ai limiti del n aH; ma della na.iveté non detiene affatto la presunta ingenuità: sembra quasi segnalarci che al di sotto delle fantasie apparentemente bambineggianti sta un concetto esistenziale pieno di inquietudine; i personaggi guardano il vuoto o guardano verso di noi in silenziosa attesa degli eventi; e sembra che ci invitino a considerare con loro il mistero del vivere.
Artista originale, di grande padronanza espressiva, che usa un linguaggio volutamente povero per indurci a riflessioni profonde. Crede nel ruolo dell'arte come testimonianza e rivelazione dell'altrimenti indicibile.
Rossana Bossaglia 2002
STEFANO ClAPONI La realtà nasce
Di un pittore così libero da costriziol lare alludendo, magari, al surrealisrr rebbe appieno nel segno: Stefano Cié naie, di indipendente da mode, mod re che ha qualcosa da dire, che non del!' artista o magari nello scoppiet apparenza, il gioco degli assemblagg esotici, oggetti di ogni genere circos( all'esterno da finestre affacciate su ir vatore fino a indurlo a un'interpretaz chi osserva con attenzione, soprattut opere, non tarderà a scoprirne la vis percorre e le anima. Già, perché sebl sti su un asse genericamente realistio mosfera come incantata che presied che l'artista voglia farci ben altro disc lecitando una risposta non così elem Intanto, non può trascurarsi quella pé e figure, le sposta da un orizzonte I favolosa: è la distanza che Ciaponi ", ché questi avverta il grado ipotetico d immaginario che ha intriso, si può di cato profondo; sicché quei volti adol rizione di animali straniati, il rovesci inconsuete e sorprendenti di oggetti,
STEFANO ClAPONI La realtà nascosta
Di un pittore così libero da costrizioni e ascendenze specifiche è facile parlare alludendo, magari, al surrealismo o all'arte onirica; ma non si coglierebbe appieno nel segno: Stefano Ciaponi ha qualcosa di proprio, di personale, di indipendente da mode, modelli e gusti esterni. Ed è anche un pitto
re che ha qualcosa da dire, che non esaurisce la sua arte nel divertissement
dell'artista o magari nello scoppiettio dell'immaginazione. Anche se, in apparenza, il gioco degli assemblaggi - figure di bimbi, animali domestici ed esotici, oggetti di ogni genere circoscritti in stanze e spazi, per lo più aperti all'esterno da finestre affacciate su improbabili scorci - può illudere l'osservatore fino a indurlo a un'interpretazione banale della sua pittura. In realtà, chi osserva con attenzione, soprattutto con una simpatia non corriva le sue opere, non tarderà a scoprirne la vis segreta, si direbbe immateriale, che le percorre e le anima. Già, perché sebbene la cifra pittorica di Ciaponi si attesti su un asse genericamente realistico, sia gli accosta menti oggettivi, sia l'atmosfera come incantata che presiede ai suoi quadri inducono a ipotizzare che l'artista voglia farci ben altro discorso, intenda suggerire e alludere, sollecitando una risposta non così elementare, buttata lì alla buona.
Intanto, non può trascurarsi quella patina come di antico che avvolge scene e figure, le sposta da un orizzonte prossimo, concreto, a una dimensione favolosa: è la distanza che Ciaponi "vuole" interporre tra sé e il fruitore, perché questi avverta il grado ipotetico della sua arte, e insieme la valenza di un immaginario che ha intriso, si può dire, ogni proprio elemento di un significato profondo; sicché quei volti adolescenti dallo sguardo incantato, l'apparizione di animali straniati, il rovesciamento delle dimensioni, le adiacenze inconsuete e sorprendenti di oggetti e persone stanno ad esprimere un desiderio cogente di innovazione, di scardinamento della realtà visibile, insomma un'esigenza profonda di attingere a qualcosa di veramente nuovo e diverso rispetto all'ambiente che ci circonda. Un modo di annunciare un'intima rivolta? Una condanna irrefragabile del mondo com'è? di sicuro, non è un semplice divertissement!
Per chi volesse avanzare su questa ipotesi interpretativa, sarà bene indicare qualche altro segnale da tener presente. E innanzi tutto, la frequenza della figura dell'adolescente, emblema dell'innocenza e della sincerità, con quegli sguardi pacati, come in attesa di qualcosa, quegli atteggiamenti composti. quegli elementari motivi di aggiunta - un fiore, un uccello, un giocattolo, posti a sottolinearne la natura semplice e schietta. Ora, che queste figure rimandino a un implicito sentimento, tra nostalgia e amarezza di cuore, che il pittore voglia comunicarci, insieme con la sua ansia innovativa, è molto probabile, se non proprio certo. E altrettanto può dirsi di qualche altra figura ricorrente, come i varchi verso l'esterno aperti da finestre e porte, gli uccelli in volo, i rami fioriti... tanti segni che rimandano al motivo del diverso, del nuovo, quindi dell'evasione da ciò che è.
Ma non si fraintenda questo suggerimento: Ciaponi non vuole affatto fuggire dalla realtà, tanto che dei frammenti di questa compone con tanta maestria i suoi dipinti; è che la pittura gli serve per costruire il suo discorso, per dirci quello che racchiude nel suo animo, per confidarci le proprie attese: sta a noi ascoltarlo, comprendere le sue parole, condividerne le ansie. Dunque, godiamoci, sì, l'arte di Stefano Ciaponi, ma intendiamone fino in fondo il messaggio.
Umberto Russo - 2005